Decalogo per l’Università pubblica

Elenco dei firmatari

Gli italiani vogliono un’università pubblica. Questo ci hanno detto le mobilitazioni contro la legge Gelmini nel 2010, questo ci dice anche l’esito concorde e inequivocabile di due sondaggi indipendenti effettuati nel 2012: la consultazione ufficiale organizzata dal ministro Profumo (sui 31mila registrati oltre il 73 per cento ha votato per il mantenimento del valore legale del titolo di studio) e il controsondaggio promosso dall’Assemblea Università Bene Comune. L’orientamento prevalente della cittadinanza è quello di chiedere che il sistema di istruzione della Repubblica mantenga e rafforzi le caratteristiche di inclusività  di promozione sociale che la Costituzione del 1948 indica come stelle polari.
Il decalogo seguente è frutto dell’elaborazione di studenti, dottorandi, professori e ricercatori, sia precari che strutturati, che in questi anni hanno difeso con determinazione l’università pubblica. Suggerisce provvedimenti e sottolinea istanze necessarie a rafforzare la vocazione pubblica dell’università, anche allo scopo di migliorare la qualità della ricerca e garantire la piena libertà di coloro che della comunità universitaria fanno parte.

1. Non si può fare cassa sull’università come accaduto sino ad oggi: dal 2009 al 2013 il taglio complessivo del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) sarà pari al 20 per cento. I finanziamenti al sistema della formazione e della ricerca devono essere adeguati alla media dei Paesi OCSE. Le risorse liberate dal turn-over devono essere interamente reimpiegate per il ricambio generazionale. Deve essere adeguato il rapporto studenti/docenti, portandolo in linea con quello dei Paesi europei.

2. Occorre istituire un ruolo unico della docenza, diviso in fasce stipendiali, al fine di demolire il sistema feudale delle gerarchie accademiche. Ne consegue che i docenti – ricercatori e professori, indipendentemente dalla fascia di appartenenza – devono poter partecipare con parità di diritti ad ogni incarico in ambito accademico, ivi comprese le commissioni di valutazione comparativa.

3. Il diritto di partecipare a tutti i bandi per finanziamenti ministeriali in qualità di coordinatore deve essere consentito a tutti i ricercatori e professori, abolendo le differenziazioni tra precari e strutturati. I progetti di ricerca di interesse nazionale devono essere giudicati da commissioni nazionali, senza alcuna forma di “preselezione” a livello locale.

4. L’università è pubblica e deve essere gestita da chi vi lavora e vi studia con il supporto dei cittadini e delle cittadine che ne compongono la collettività. Gli organi di governo delle università devono, dunque, essere costituiti in maggioranza da queste categorie. Per le stesse ragioni, le fondazioni universitarie non possono prendere in carico didattica e ricerca (funzioni istituzionali delle università) ma solo attività specifiche e complementari rispetto a queste ultime.

5. In relazione alla contribuzione studentesca, per il gettito totale (fuoricorso inclusi) deve essere ripristinato il limite del 20 per cento sul FFO. Le tasse devono essere improntate alla progressività e senza aggravi per i fuoricorso. Tutti coloro che possiedono i titoli richiesti devono poter usufruire di borse di studio (ovvero deve essere rimossa l’ignominia dell’“idoneo non vincitore”). Va invertita la tendenza al dilagare del numero chiuso: le risorse destinate  all’università vanno adeguate al numero di aspiranti studenti e non viceversa.

6. La valutazione deve essere affidata a un’autorità indipendente e non deve essere identificata con una strategia di differenziazione competitiva delle università e con l’introduzione di criteri (arbitrari) in grado di gerarchizzare
l’assegnazione dei pochi fondi statali in progressivo prosciugamento. Il processo valutativo non può risolversi in una “competizione a premi”, ma deve consentire di individuare, in modo analitico e condiviso, punti di forza e debolezze della complessa stratificazione della geografia accademica italiana.
La valutazione deve riguardare non solo i “prodotti” della ricerca ma l’interezza dei servizi – dalle biblioteche alle banche dati alla presenza di alloggi per studenti – offerti da ogni singolo ateneo. È dunque necessario scomporre nel dettaglio le condizioni di partenza di ciascun ateneo, sottoponendo analisi e criteri di valutazione al vaglio rigoroso e condiviso da parte della comunità scientifica degli studiosi e delle studiose, degli studenti e del personale TA.

7. Per consentire alle università di sviluppare capacità attrattiva nei confronti di studenti e ricercatori provenienti dall’estero (e in modo particolare da altri paesi dell’Europa e del Mediterraneo) occorre garantire adeguato sostegno economico agli studenti Erasmus in ingresso e in uscita, semplificare le procedure burocratiche relative agli studenti stranieri (visti, servizi di accoglienza multilingue, etc.), prevedere un uso intelligente di esami in lingua straniera all’interno dei corsi di laurea.

8. Scuola e università non sono lo strumento attivo di educazione alle priorità del mercato e non possono essere ridimensionate al perimetro di un’agenzia di collocamento; non devono tuttavia sottrarsi allo sforzo di interpretare il mondo esterno e incidere su di esso. La conseguente applicazione di questo principio deve prevedere che l’ideazione e la progettazione dei corsi di laurea universitari siano l’esito di una consultazione il più possibile ampia, aperta e articolata del mondo studentesco, dell’insieme del corpo docente, della collettività lavorativa e intellettuale esterna all’accademia. A tal fine vanno dunque individuate e incentivate modalità di coinvolgimento e di partecipazione attiva ad ogni decisione inerente alla strutturazione della comunità universitaria.

9. I dottorati senza borsa devono essere eliminati: ogni lavoro di ricerca deve prevedere adeguata retribuzione.

10. La modalità principe per il reclutamento e l’ingresso in ruolo nell’università è quella con tenure track. Si deve però definire un chiaro percorso post-dottorato, non superiore a 4 anni, che recepisca quanto stabilito dalla Carta Europea dei Ricercatori: un contratto unico pre-ruolo, con retribuzione, tutele e diritti di rappresentanza conformi a quelle dei lavoratori a tempo determinato. Nel 2011 i precari nelle università italiane erano oltre 100mila, a fronte di poco più di 50mila strutturati: è urgente un piano di reclutamento straordinario che non disperda questo immenso patrimonio di intelligenze e competenze. Ad esso deve seguire un processo di reclutamento ordinario e ciclico, in ragione dell’ampliamento delle esigenze scientifiche e didattiche del sistema universitario.

29 gennaio 2013

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